Mere color, unspoiled by meaning, and unallied with the definite form, can speak to the soul in a thousand different ways
Oscar Wilde (1854-1900)

domenica 16 ottobre 2016

Step 04 - Rosso mattone nella mitologia antica

Prima di raccontare episodi mitologici che vedono la presenza predominante del colore rosso mattone o comunque di colori ad esso affini, vorrei cominciare con il presentarvi Iride.
Iris (greco) o Iride (latino) era la figlia di Taumante e di Elettra, e insieme ad Ermes (greco) o Mercurio (latino) era la messaggera degli dei. Ella simboleggia l'arcobaleno e, in modo più generico, il tramite fra la terra e il cielo, fra gli dei e gli uomini, che l'arcobaleno rende percepibile. Il più delle volte è raffigurata con le ali e coperta di un velo leggero che, al sole, assume i colori dell'arcobaleno.
L'arcobaleno è presente anche in altre mitologie e non solo in quella greco-latina:
Nella mitologia indiana l'arcobaleno è chiamato Indradhanush, con il significato di arco di Indra, il dio del fulmine e del tuono.
Nella mitologia cinese, l'arcobaleno era una spaccatura nel cielo sigillata dalla dea Nüwa con pietre di sette colori differenti.
Nella mitologia norrena, un arcobaleno chiamato Ponte di Bifröst collega i regni di Ásgarðr e Miðgarðr, che sono rispettivamente le dimore delle divinità e degli umani
Nella mitologia irlandese, il nascondiglio segreto del leprechauno, una sorta di folletto, è una pentola piena di oro, che viene generalmente posta alla fine dell'arcobaleno, un posto praticamente impossibile da raggiungere.

Nel libro della Genesi della Bibbia, dopo il Diluvio Universale, Dio manda sulla terra un arcobaleno, segno dell'alleanza con gli uomini.
Di seguito riporto un estratto Genesi 9: 13-15:
"13 Io pongo il mio arcobaleno nella nuvola, e servirà di segno del patto fra me e la terra.
14 E avverrà che, quando farò venire delle nuvole sulla terra, l'arco apparirà nelle nuvole;
15 e io mi ricorderò del mio patto fra me e voi ed ogni essere vivente di ogni carne, e le acque non diventeranno piú un diluvio per distruggere ogni carne."





Iniziamo ora il racconto di miti legati al rosso mattone o comunque a varie sfumature del colore rosso ad esso affini, tra cui rosso della ruggine, rosso della argilla, rosso del fango, rosso della birra.

Mitologia latina:
Robigo e Robigus (e anche Rubigo e Rubigus) = Ruggine
la prima femminile e il secondo maschile sono due geni che presiedono alla coltivazione del grano e provocano la ruggine del grano, una malattia fungina del frumento. Si celebrava in loro onore, ogni anno, a Roma una festa il 25 aprile, denominata Robigalia, nel periodo in cui le spighe cominciano a formarsi. Veniva effettuata una processione di persone tutte vestite di bianco, guidate dal flamine quirinale, che si dirige nel bosco sacro al 5° miglio sulla via Clodia  e qui il flamine sacrifica una cagna e una pecora bidente (cioè di due anni).Il motivo del sacrificio canino è spiegato dallo stesso flamine a Ovidio: quando la "Stella del Cane" (cioè Sirio) appare in cielo inizia la stagione calda (canicola) e c'è il pericolo che le messi maturino troppo presto; per scongiurare questo pericolo viene sacrificato un cane (o cagna) in analogia al nome della costellazione.

Mitologia greca:
La ruggine aveva azione benefica, era un medicamento, come si evince dai miti che vedono come protagonisti Ificlo e Telefo.

Ificlo era un giovane, figlio del re Filaco, affetto da impotenza. Il padre interrogò l'indovino Melampo sul rimedio da portare a quell'infermità. Melampo sacrificò due tori che fece a pezzi ed espose agli uccelli, poi rimase ad ascoltare i discorsi degli avvoltoi che divoravano i cadaveri. Questi raccontavano che una volta, mentre stava castrando alcuni arieti, Filaco aveva posato il coltello sanguinante accanto al figlio Ificlo, e il bambino, spaventato, aveva sottratto l'arma piantandola in una quercia sacra. La corteccia era cresciuta attorno alla lama nascondendola internamente. Gli avvoltoi aggiungesero che, se si fosse ritrovato il coltello e si fosse preparata una pozione con la ruggine che lo ricopriva, Ificlo sarebbe guarito bevendone per dieci giorni di seguito e avrebbe avuto allora un figlio. Melampo ritrovò il coltello, preparò la bevanda prescritta e Ificlo ebbe un figlio che si chiamò Podarce. 

Telefo era il figlio d'Eracle e d'Auge. Un episodio particolare della sua vita lo ferito vede in Misia lottare contro i Greci che si recavano a Troia, dove fu ferito da Achille con un colpo di lancia alla coscia. La ferita di Telefo sembrava inguaribile e lo costrinse a recarsi a Delfi per sapere se c'era qualche speranza di guarigione. L'oracolo rispose che solo chi l'aveva ferito avrebbe potuto risanarlo. Telefo, vestito da mendicante, partì per Argo, dove intanto si erano ritirati i Greci tornando dalla Misia, e, secondo alcuni autori, prese in ostaggio il piccolo Oreste, figlio d'Agamennone, minacciando di ucciderlo se Achille non l'avesse guarito dalla ferita. Nessuno osò toccarlo perché Calcante, l'indovino, aveva profetizzato che solo l'Eraclide sarebbe riuscito a guidarli verso Troia. Fu guarito grazie alla ruggine della lancia di Achille (al quale Telefo donò, come ringraziamento, alcuni cavalli). Telefo guidò quindi i Greci verso la spiaggia troiana, tornando in seguito in terra di Misia.

Mitologia egizia:
Il mito cosmogonico di Tebe
La cosmogonia di Tebe narra di una collina di fango che sarebbe emersa dalle acque, originando otto divinità, quattro maschili con testa di rana e quattro femminili con testa di serpente. Queste otto divinità (Ogdoade) erano:
  • Nun e Naunet, il caos;
  • Kuk e Kauket, l'oscurità;
  • Heh ed Hehet, l'illimitatezza;
  • Amon ed Amonet, l'invisibilità.
Esse avevano come capostipite il dio creatore Thot, dio della luna, sapienza, scrittura,  magia, misura del tempo, matematica e geometria.

La leggenda di Khnum
Khnum era un dio di origine antichissima il cui nome significa "creare". Venne adorato soprattutto nell'Isola di Elefantina situata vicino alla prima Cataratta del Nilo, dove formava una triade insieme alle dee locali Anukis e Satis. Khnum era considerato il "Guardiano delle sorgenti del Nilo", che anticamente si immaginava che emergessero da due grotte di Elefantina, e presiedeva alle inondazioni, comandando perciò l'elemento determinante della fertilità in Egitto.
Generalmente Khnum venne rappresentato con figura umana e testa di ariete dalle corna girate a spirale orizzontalmente verso l'esterno; qualche volta apparve anche con l'aspetto di un ariete eretto sulle zampe anteriori e allora era chiamato "Anima vivente di Ra". Sembra che Khnum personificasse la forza creatrice del dio Sole Ra in quelle parti dell'Egitto dove Ra non era riconosciuto come creatore supremo, poiché il culto di Khnum, che venne associato al Nilo, era molto diffuso.
Si riteneva che Khnum si fosse autogenerato, diventando in seguito il creatore del cielo, della terra, del regno dei morti (Duat), dell'acqua e di tutte le cose presenti e future. Inoltre era colui che con il limo del fiume egizio aveva modellato l'uomo e gli animali, e per questo motivo il suo simbolo era la ruota da vasaio, e quindi era considerato il protettore dei vasai, oltre ad essere venerato come dio creatore.





La leggenda di Ra 
Probabilmente la leggenda più famosa delle tante riguardanti il dio Sole è quella che si legge nel testo magico "La distruzione degli uomini". Ra dopo aver regnato a lungo sugli uomini e gli dei si ritira.

Gli uomini approfittando della sua assenza si ribellano. Il dio decide di inviare sulla terra il suo occhio, alla vista del quale gli uomini si spaventano e fuggono nel deserto. Egli pertanto si consiglia con gli altri dei, soprattutto il dio delle acque Nun, intorno al modo di ucciderli. Viene deciso di mandare la dea Hathor, la vacca del cielo, ad ucciderli. Ra, tuttavia, se ne pente e per proteggere gli uomini fa versare sulla terra della birra rossa che ha aspetto di sangue umano. Quando Hathor arriva, sia inebriata da questa birra, sia per vanità femminile dopo aver mirato la sua immagine nel liquido, abbandona il suo proposito.




Mitologia sumerica:
L'argilla era una materia prima fondamentale della Mesopotamia, terra tra i due fiumi Tigri ed Eufrate.
I popoli mesopotamici per scrivere si servivano di un'asticella appuntita, lo stilo, e incidevano i caratteri su tavolette di argilla. Per i sumeri è forte la presenza dell'argilla anche nei racconti mitologici, prendiamo in considerazione l'Epopea di Gilgamesh. Gilgamesh è il più antico personaggio della letteratura mondiale, le cui gesta sono raccontate nel poema nazionale dei sumeri che ebbe una fama clamorosa nel mondo mesopotamico.
Gilgamesh è il re della citta di Uruk: un guerriero terribile che opprime i suoi sudditi.Questi allora pregano Ishtar di essere liberati da lu, ma la dea, vedendo Gilgamesh, se ne innamora. L'eroe respinge le nozze divine e Isthar, sdegnata, forma con il fango un essere di forza immane che possa vincere Gilgamesh. Questo primitivo uomo, di nome Enkidu, affronta l'eroe, ma i due avversari, ammirati della reciproca forza, finiscono per diventare amici e affrontano insieme valorose imprese. Poi Enkidu muore, e per la prima volta Gilgamesh sperimenta la sconfitta e il dolore come condizioni tipiche della vita umana.
Deciso a riscattare tutta l'umanità dalla sofferenza, parte alla ricerca dell'unico uomo che conosca il segreto dell'immortalità: Utnapistim (una variante del Noè biblico), il quale un tempo era riuscito a sopravvivere al diluvio universale. Grazie alle sue indicazioni, Gilgamesh riesce a trovare la pianta dell'immortalità, che cresce in fondo al mare; sembra così che il suo scopo sia stato raggiunto: pensa di mangiarne lui stesso e di distribuirla a tutti i suoi amici in modo che l'umanità intera diventi immortale. Quando sulla strada del ritorno, ormai in vista della sua città, Gilgamesh si tuffa in un lago per ristorarsi prima del suo trionfale arrivo, un serpente sbuca dall'acqua e divora la pianta: così l'immortalità tocca al serpente, che ogni anno si rinnova abbandonando la sua vecchia pelle, mentre gli uomini saranno eternamente condannati a morire. Qui di seguito riporto il brano che chiude il poema e che narra del triste saluto chei due amici si scambiano nel regno dei morti.
"Gilgamesh aprì la bocca e disse così: - Parla amico mio! Annunziami la legge di quella terra che hai veduto!
- Io non te la posso rivelare, o amico, io non te la posso rivelare. Se ti rivelassi la legge della terra che ho veduto, tu ti siederesti per piangere.
-Ebbene mi siederò e piangerò giorno per giorno!
-Guarda allora! L'amico che tu hai afferrato per rallegrarti con lui è mangiato dai vermi, come fosse un abito smesso. Enkidu, l'amico che la tua mano ha toccato, è diventato come della terra argillosa; è pieno di polvere, è diventato polvere. "

Mitologia irochese:
Nella mitologia irochese, una popolazione di nativi americani, il Nord America fu creato dal fango, che un piccolo rospo aveva dragato dal fondo del mare. Il fango venne quindi spalmato sul carapace di una grande tartaruga e crebbe fino ad assumere le dimensioni del Nord America.




Bibliografia:
E. Cantarella, G. Guidorizzi - La cultura della storia, dalle origini dell'umanità al secolo II d.C. - Einaudi Scuola
Le garzantine - Mitologia - Garzanti
La Sacra Bibbia  - Traduzione della Conferenza Episcopale Italiana - Società Editrice Internazione - Torino

Sitografia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale
http://www.treccani.it/enciclopedia/


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